La tassazione delle criptovalute secondo la bozza della Legge di Bilancio 2023
di Davide Emone | 29 novembre 2022 | News
Il disegno di legge del Governo per la manovra finanziaria del 2023, secondo la bozza al momento disponibile, introduce e disciplina per la prima volta a livello normativo ai fini tributari le criptovalute e, più in generale, le criptoattività.
Infatti, sebbene si tratta solo di una bozza e la versione definitiva sarà approvata solo a fine anno dal Parlamento, nell’ambito della categoria dei redditi diversi si prevede l’inserimento delle plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante rimborso o cessione a titolo oneroso, permuta o detenzione di criptoattività (art. 67 TUIR, lettera c-sexies).
La norma si riferisce alla criptoattività (dal termine inglese cryptoasset) “comunque denominata, archiviata o negoziata elettronicamente su tecnologie di registri distribuiti o tecnologie equivalenti”. La plusvalenza è costituita dalla differenza tra il corrispettivo della cessione e il costo di acquisto, purché sia documentato con elementi certi e precisi, essendo in mancanza considerato pari a zero, e non è imponibile se inferiore a 2.000 Euro. La tassazione è con aliquota del 26%.
Ad esempio, se una criptovaluta come il Bitcoin è stata acquistata per € 6000,00 e ceduta per € 16.000, la plusvalenza tassabile è di € 10.000, al 26%, purché si possa provare il costo di acquisto: in caso contrario, sarebbe soggetto all’aliquota del 26% l’intero corrispettivo di cessione di € 16.000.
Si osserva fin da subito che la prova “con elementi certi e precisi” del costo di acquisto rischia di essere diabolica per quello che è il mondo crypto. Se anche si riuscissero a ricostruire tutti gli scambi, non si può non evidenziare che gli exchange non rilasciano certificazioni “ufficiali”, ma spesso si tratta di documenti e fogli di calcolo .csv, astrattamente modificabili da chiunque.
Non sono fiscalmente rilevanti le permute tra criptoattività aventi medesime caratteristiche e funzioni: anche secondo la relazione illustrativa al disegno di legge, lo scambio e conversione tra due criptovalute non genera plusvalenza (converto Bitcoin in Ethereum, ad esempio), mentre sono imponibili le fattispecie che involgono l’utilizzo di criptovalute per l’acquisto, ad esempio, di un non fungible token (NFT).
La norma prevede anche la facoltà di optare per il regime del “risparmio amministrato” e del “risparmio gestito” presso gli intermediari bancari e finanziari.
Inoltre, si introduce chiaramente l’obbligo del monitoraggio fiscale (dichiarazione nel quadro RW) per chi detiene criptoattività, indipendentemente dalla modalità di conservazione (custodial o non custodial wallet) e a prescindere da ogni speculazione sul luogo ove esse possano localizzarsi. Ciò anche al fine della determinazione di un’imposta di bollo, pari al 2 per mille del valore delle criptoattività (e quindi anche delle criptovalute), dovuta per il mero possesso delle stesse (imposta patrimoniale).
Se tutto ciò riguarderebbe il futuro, la bozza della legge di bilancio introduce misure di notevole interesse anche rivolge, in un certo senso, al passato, al fine di regolarizzare le criptoattività e di rideterminarne il loro valore.
Come detto, per le future plusvalenze si applica l’aliquota del 26% alla differenza tra costo di cessione e costo di acquisto (da dimostrare con elementi certi e precisi). Per la determinazione delle plusvalenze future sulle criptoattività, il disegno di legge prevede che in luogo del costo di acquisto, il contribuente possa utilizzare il valore al 1° gennaio 2023, se su tale valore si versa un’imposta sostitutiva del 14%.
La rideterminazione del valore di carico (anche detta affrancamento) è un’opportunità per chi non abbia ancora realizzato plusvalenze, al momento solo latenti, ed in particolare per tutti colore che abbiano difficoltà a provare il costo di acquisto. In sostanza, in tale ipotesi, si avrebbe un’aliquota più bassa di quella ordinaria (14% anziché 26%) fino al valore della criptovaluta al 1° gennaio 2023, essendo soggetta all’aliquota del 26% solo l’eventuale maggior valore ottenuto dalla (futura) cessione.
La regolarizzazione, invece, è riservata a coloro che non hanno mai dichiarato – ai fini del monitoraggio fiscale – le criptovalute nel quadro RW e a coloro che – avendo percepito redditi dalle criptovalute in passato, fino al 31 dicembre 2021 – non li hanno assoggettati ad imposta.
Per l’omessa indicazione nel quadro RW è previsto il versamento di una sanzione in forma ridotta pari allo 0,5% del valore dell’anno, mentre per la mancata dichiarazione del provento è prevista un’imposta sostitutiva del 3,5%.
È chiaro che l’opportunità si rivela di particolare appeal in relazione all’aliquota del 26% prevista per il futuro e che, per il passato, la prassi dell’Agenzia delle Entrate riteneva doversi applicare utilizzando in analogia la categoria delle valute estere.
In conclusione, pur ripetendo che si tratta di una bozza che – prima di diventare legge con l’approvazione di Camera e Senato – potrebbe subire considerevoli modifiche, è da salutare positivamente il fatto che il Governo abbia inteso proporre una prima regolamentazione tributaria dei profili patrimoniali e reddituali delle criptoattività – in generale – tra cui sono certamente ricomprese le criptovalute.
La concezione che emerge dal testo proposto, inoltre, smentisce la tesi dell’Agenzia delle Entrate che aveva considerato le criptovalute quali “valute estere”; tesi finora pervicacemente sostenuta nonostante la non assimilabilità dei due concetti e la contraddizione con le discipline in altri settori del diritto.
L’introduzione, per il futuro, di una nuova categoria reddituale e di un nuovo obbligo di monitoraggio per le criptoattività dovrebbe condurre logicamente alla deduzione che, per il passato, le plusvalenze non erano imponibili, né sussisteva alcun obbligo di monitoraggio: altrimenti, non sarebbe stata necessaria l’introduzione di una disciplina ex novo. Inoltre, vigono in materia tributaria il principio di legalità e di riserva di legge, per cui le imposte devono essere introdotte e disciplinate dal legislatore, non già da documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria.
Questi concetti si scontrano, tuttavia, con la previsione della “regolarizzazione” del passato: se non vi era un obbligo, non si capisce che cosa debba essere regolarizzato. È però vero che l’enorme vantaggio fiscale (3,5%+0,5% anziché 26%) rispetto alla tassazione ordinaria che il Fisco pretenderebbe applicare ai redditi conseguiti mediante criptoattività anche per gli anni passati, dovrebbe far seriamente considerare l’idea di adesione.
Chi ha, invece, conseguito redditi e li ha assoggettati a tassazione, dovrebbe riflettere con attenzione sull’ipotesi di chiedere il rimborso di quanto pagato, in virtù dell’assenza di una norma che stabilisse la tassazione.
L’aspetto problematico, ancora una volta, resta l’impermeabilità del sistema finanziario rispetto all’immissione nel circuito bancario dei proventi da compravendita di criptovalute, che si teme non venga scalfita dal testo della bozza: nella parte in cui si prevede la regolarizzazione con tassazione agevolata, si prevede altresì che il contribuente debba dimostrare la liceità della provenienza delle somme investite. Anche in tale ipotesi, come per il costo di acquisto, la dimostrazione della liceità (un’inversione rispetto alla dimostrazione dell’eventuale illiceità generalmente in capo a chi la contesta) potrebbe essere una probatio diabolica.
In ogni caso, il percorso del disegno di legge sarà da seguire con attenzione al fine di verificare la norma che entrerà in vigore e gli scenari che si apriranno per tutti i cripto-contribuenti.
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